Il primo editoriale della Rivista PasSaggi Costituzionali: cambiamento e superamento dei confini le parole chiave.


Editoriale della 



Una crisi è un bivio e contiene una possibilità di scacco, ma anche un’opportunità. 
Viviamo nel pieno di una crisi epocale generata prima dalla globalizzazione e adesso aggravata da una pandemia. Non si tratta della prima volta nella storia: già ad esempio la peste nera, la febbre spagnola, il colera hanno a più riprese funestato il mondo, apportando lutti, sconvolgendo abitudini, costringendo le persone a mutamenti individuali e collettivi. Certo, usciremo anche da questa prova, per effetto del combinato disposto tra scoperte e applicazioni della medicina e saggi comportamenti delle persone; ma intanto questo è un monito alla nostra hybris e ci ricorda quanto siamo fragili. Se saremo accorti a trarne una lezione, ci insegnerà che la corda dello stress all’ambiente e della cattiva organizzazione sociale - tale in quanto fondata su disuguaglianze di diritti e opportunità tra garantiti e no, all’interno di un singolo Paese e nei rapporti reciproci fra questi - non va troppo tesa, perché alla lunga si spezza e con essa rompe ogni possibilità di convivenza armonica e pacifica. 
In questo clima, un gruppo di giuristi, colleghi e amici (convocati da uno di loro, che è lì docente, all’Università di Salerno, per un convegno che era stato pensato in presenza, ma poi ha dovuto essere rimandato e si è infine svolto nella modalità da remoto, divenuta di questi tempi consueta) ha incominciato ad interrogarsi sull’idea di dare vita a una rivista di diritto pubblico, perché sono sempre le contingenze difficili a imporre di spingere lo sguardo oltre le difficoltà del presente e a fare sognare un diverso, aperto orizzonte, una speranza di ripresa del cammino, nelle condizioni di fatto che si renderanno via via possibili. 
Dalle discussioni - svoltesi in collegamento rigorosamente telematico, che man mano si sono estese a tutti i componenti dell’attuale Comitato Scientifico - è emersa subito la consapevolezza che incombesse a noi tutti, in quanto gruppo fondatore che propone la Rivista, l’onere di caratterizzarla, in modo che la nuova voce sia udibile con toni che la differenzino da quelle, ottime, già in campo. 
Ci è parso allora che proprio la situazione che subiamo mostrasse in modo naturale la strada lungo la quale avventurarsi: partire cioè dall’occasione per dipanare un filo che ci si augura possa riuscire vitale, per poi via via irrobustirsi e farsi apprezzare per vivacità intellettuale e capacità di approfondimento, prima nelle tradizionali modalità a stampa e in seguito, se l’impresa sarà confortata da un iniziale successo e dall’adesione permanente degli studiosi, trasferendosi (anche o solo, questo è ancora da decidere) sul web.
Tendenze di trasformazione erano già percepibili, nel primo ventennio del XXI secolo, nell’ambito del diritto pubblico, tanto nazionale, quanto sovranazionale. Immaginiamo che il coronavirus (con le cautele e le restrizioni che ci ha imposto) le acceleri, le renda più chiare e visibili; e che al tempo stesso non sia più possibile tornare – se e quando esso fosse ricondotto sotto controllo, com’è augurabile – alla situazione preesistente al suo manifestarsi.
Senza pretesa di esaurire un elenco che sarebbe lunghissimo, ma solo sfogliando i titoli più evidenti dei capitoli di un testo ideale da scrivere, occorrerà riflettere ancora sulla personalizzazione degli Esecutivi; sul problematico ruolo dei Parlamenti di fronte al manifestarsi di istanze di intervento diretto delle masse nella gestione della politica, nonché delle pretese della valutazione scientifica e delle tecnocrazie che ne propongono l’imperiosità; sul progressivo affermarsi della centralità delle Corti e della decisione giudiziaria; sul moltiplicarsi delle figure di diritti fondamentali, mentre sembra essere meno avvertita l’esigenza di un, invece assolutamente necessario e correlativo, carico di doveri e solidarietà; sul quadro di difficoltà e affanno nei rapporti tra poteri centrali e autonomie territoriali e funzionali; sulla necessità di assicurare a tutti gli strumenti e la formazione per un’adeguata “cittadinanza telematica”, dotandola quindi di uno statuto giuridico saldo; sull’ineludibile imperativo di offrire all’umanità (ivi comprese le generazioni future) la garanzia di sopravvivere in un mondo che una sin troppo facile previsione induce a ritenere ulteriormente minacciato da catastrofi ambientali, che occorre invece ad ogni costo prevenire. Così, non si potrà evitare di interrogarsi ancora sui riflessi giuridici della bioetica e delle acquisizioni della robotica, anche in rapporto ai mutamenti del diritto del lavoro.
Ogni settore del diritto pubblico consegnatoci da una tradizione comunque da tempo già sconvolta e in continuo divenire ne viene toccato, in società multiculturali, multietniche, eticamente e per fedi e costumi differenziate quanto mai in passato, interessate dalla costruzione di un costituzionalismo multilivello che confedera nelle unioni sovranazionali popoli e organizzazioni di potere, tra cui è evidente lo stridere e la non facile componibilità di esigenze e mentalità giuridiche diversificate: dalle forme di Stato a quelle di governo, dalle fonti del diritto all’operatività efficace ed efficiente delle organizzazioni potestative centrali e locali (assemblee politiche ad ogni livello, apparati amministrativi e quelli preordinati a garantire giustizia, dal giudice del più piccolo paese a quello che a Berlino fa tornare il sorriso al mugnaio del noto episodio), alla panoplia delle situazioni di vantaggio e di vincolo, continuamente rimodellate dallo sviluppo sociale e dal mutare delle esigenze di chi preme per vedersi riconosciuta l’assicurazione e la protezione secondo diritto di un bene della vita, alla giustizia costituzionale. Né sfugge a questa trasformazione la pubblica amministrazione, che in uno Stato sociale in piena crisi diventa il banco di prova di ogni concreta possibilità quantomeno di attenuare quelle diseguaglianze, che così negativamente incidono sulla tenuta della società e sulle prospettive future.
È intenzione indagare la molteplicità di questi temi, con uno sguardo a quanto accade nei Paesi del Sud dell’Europa e, più in generale, del Mediterraneo, come testimonia la presenza nel Comitato Scientifico della Rivista di colleghi provenienti da Grecia, Portogallo e Spagna, nella consapevolezza del rischio di marginalità che ha colpito, nel mondo globalizzato, il Vecchio Continente e potrebbe tradursi in un’ulteriore riduzione, in questa particolare area geografica cui il nostro stesso Paese appartiene, dei diritti costituzionali.
Al tempo stesso, i cambiamenti palesi e quelli ancora non intravisti pongono il tema del confine e del suo oltrepassamento. 
Fuor di metafora: ben coscienti degli strumenti e dei metodi del nostro specifico ambito professionale e non disposti a dismetterli, vogliamo però esplorare l’altro da noi, coltivare curiosità intellettuale, alimentare inquietudine, perché l’arroccamento in settori disciplinari potrà essere utile nei concorsi universitari (ed è poi da vedere fino a che punto e per quanto tempo ancora), ma non può apprestare una prigione al pensiero critico, né allontanare il diritto costituzionale dalla vita.
Aiutare per quanto sta in noi in tale modo la costruzione dell’umano (nell’epoca del post-umano) è dunque l’ambizione che ci percorre e che abbiamo anche voluto consegnare emblematicamente al titolo della rivista. È una contaminazione buona, cui ci siamo educati per noi stessi e che vogliamo continuare a spargere per i nostri studenti e per chi ci leggerà.
                     
                                                 Il Comitato Scientifico della Rivista



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